martedì 29 gennaio 2008

Il match race nel DNA degli Spithill

Ecco un'altra articolo, vecchio, preso dal sito della 32nd America's Cup.

Avere 27 anni e timonare una barca dell’America’s Cup è un fatto eccezionale. Farlo per la terza volta consecutiva è un caso unico. James Spithill è il “giovane pistolero” che spara i colpi di Luna Rossa Challenge. L’ha portata alla finale della selezione degli sfidanti, dominando BMW ORACLE Racing nelle semifinali e guadagnadosi i soprannomi di “Spitbull” e “Spitfire”. Nei sei match disputati, la barca italiana ha girato tutte le boe sempre in testa, facendosi precedere una sola volta, sulla linea del traguardo, dalla barca statunitense.
Nel 1999, all’età di 20, Jamese Spithill era alla ruota di Young Australia. Nel 2002 era il timoniere di OneWorld, il sindacato diretto dal connazionale Peter Gilmour. Una storia davvero particolare quella di Spithill, cresciuto in una famiglia che ha il match race nel proprio DNA: Katie, la sorella più piccola, 25 anni, è al sesto posto della classifica mondiale di match race; il fratellino Tommy, 19 anni, è un giovane talento di questa specialità, attualmente imbarcato su Wild Oats e pronto a partecipare alla Millenium Cup e al mondiale Maxi.
Cosa si trova alla base del successo degli Spithill? Il papà di James, Arthur, e la sorella Katie si trovano a Valencia per seguire le regate in prima persona. Sono socievoli e chiacchieroni; gli piace commentare le prestazioni del loro “caro James” al timone di Luna Rossa-ITA 94.
Cosa provate ad assistere di persona agli “show” del vostro James?
Arthur: “James è sempre stato un ottimo timoniere in partenza, sia nelle regate di flotta sia nei match race. Già nel 1999, alla ruota di Young Australia, le vinceva tutte. Quella volta, però, timonava una barca vecchia che era parecchio lenta. Così era in grado di mantenere il vantaggio solo per poche centinaia di metri. Nell’ultima Coppa, James ha continuato a fare ottime partenze, ma la sua barca non era messa bene a punto come le altre. Con Luna Rossa pare che finalmente tutti i pezzi siano al loro posto e la sensazione è fantastica. Sono molto contento che James stia con il team italiano; nelle due ultime America’s Cup ho sempre ammirato il lavoro di Francesco de Angelis. È tutto molto bello: ora mio figlio regata con alcuni dei suoi vecchi amici di Young Australia e con alcune autentiche leggende come Torben Grael e Tom Schnackenberg”.
Cosa pensi del risultato di Luna Rossa raggiunto fino a oggi?
Katie:
“Avere raggiunto la finale è certamente un bel traguardo, ma bisogna prendere un match alla volta. Luna Rossa è salita di livello, ma da velista di match race quale sono, so che non bisogna mai guardare troppo in avanti. Devi solo pensare alla regata successiva e concentrarti al prossimo traguardo. Ogni giorno scopri nuove cose su un team: le sue forze, le sue debolezze e di volta in volta cambi programma in base ad esse”.
Che emozioni provi a vedere James in regata?
Katie: “Lui è ovviamente più bravo di tutti noi, ma a volte mi capita di guardarlo e chiedermi perché ha fatto una certa mossa. Spesso gli chiedo spiegazioni a cena e lui mi racconta le ragioni e le teorie di Torben Grael. Le motivazioni sono sempre giuste e imparo ogni volta qualcosa di nuovo”.
Tre match racer di alto livello che provengono dalla stessa famiglia. Come te lo speghi?
Katie:
“Con la nostra famiglia trascorriamo molto tempo sull’acqua. Quando eravamo piccoli mamma e papà ci incoraggiavano ad andare in barca a vela e noi lo abbiamo sempre fatto. Andavamo sempre allo stesso circolo, il Royal Prince Albert Yacht Club di Newport, a Sydney, dove erano organizzati corsi di vela giovanili”.
Come mai avete tutti scelto il match race?
Katie: “È una passione di famiglia. Tommy e io ci alleniamo insieme a casa. Ci aiutiamo a vicenda e quando mi serve qualcuno per completare il mio equipaggio lui si fa subito avanti. Inoltre, nostro padre è un Giudice di match race. Perfino mia madre, a forza di guardare le regate, ha imparato le regole. Qualche volta la dobbiamo obbligare a smettere di parlare di vela!”.
È solo tutto merito della scuola?
Arthur: “Credo che la loro formazione sia segnata dal fatto che per 16 anni abbiamo abitato presso in una casa che faceva parte di un piccolo complesso a schiera affacciato sull’acqua, a Pittwater, una zona di Sydney. Casa nostra la potevi raggiungere solo in barca, perché si trovava in un parco nazionale e non c’erano strade. È un posto bellissimo. Tutti i giorni i bambini andavano e venivano da scuola con un piccolo traghetto e se dovevano andare a giocare dovevano prendere una barca, una canoa, un windsurf on un Hobie Cat. Per loro la barca a vela è diventata un mezzo di trasporto naturale. Inoltre, a meno di un miglio di fronte casa nostra c’era il Royal Prince Alfred Yacht Club. Da bambini lo hanno frequentato molto. Ancora oggi, quando James torna a casa, si reca sempre al circolo e fa da prodiere a Tommy, o chiunque trova in giro, sugli skiff”.
Come padre cosa pensa del match race per insegnare la vela ai bambini?
Arthur: “Posso indivuduare un match racer puro in mezzo a un gruppo di bambini da un miglio di distanza. Quando faccio il Giudice nelle regate giovanili capisco subito chi diventerà forte. Un futuro campione non lo distingui dalle sue capacità di timoniere ma da come si comporta sull’acqua, da come mantiene il controllo e tratta il suo equipaggio. Se urlano, insultano i giudici e si lamentano davanti a tutti dei loro problemi, non andranno mai da nessuna parte. Un bravo timoniere deve trattare gli uomini del suo equipaggio come dei VIP; sono loro che ti fanno vincere. Deve accettare i propri errori e quelli dei giudici di regata come una componente del gioco. Io non riuscirei mai a comportarmi così, ma i miei tre figli sì. Se qualcosa mi va storto, prendo a calci la prima cosa che trovo, come gran parte delle persone; ma questo non è il carattere di un buon match racer. Ho lavorato con James per più di 15 anni e non abbiamo mai litigato. Lui è un ragazzo con il quale si lavora davvero con semplicità. Si inserisce molto bene all’interno di una squadra e dà valore al suo equipaggio. Non si dà arie e si sente uno dei tanti dell’equipaggio”.
Un ultimo aneddoto. Nel 2002 Peter Gilmour ha ricordato una conversazione che aveva avuto con James Spithill nel 1999, al termine della sua prima esperienza di Coppa. “È venuto da me e mi ha chiesto, `Dove vado ora? Cosa devo fare?' Gli ho risposto di andare a scuola, studiare e tornare. Ma non mi ha dato retta e ha deciso di andare a studiare la vita. Direi che al momento si trova a metà del suo corso di laurea a vela”.

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